Da qualche tempo girano notizie allarmanti riguardanti le patatine fritte confezionate: al loro interno si troverebbe una sostanza potenzialmente tossica, ossia l’ acrilammide. Verità o bufala metropolitana?
Per scoprirlo, lo Studio ABR ha deciso di effettuare un’indagine, realizzata dalle dottoresse Elga Baviera e Sabina Rubini Biologhe – Esperte in Igiene e Sicurezza degli Alimenti dello Studio ABR.
La lista degli ingredienti
Dovremmo ormai tutti sapere che, quando acquistiamo un alimento, gli ingredienti in esso contenuti vengono inseriti in etichetta in ordine decrescente, in base alla quantità presente. È possibile, però, che all’interno di un alimento ci siano sostanze non solo non indicate nell’elenco degli ingredienti, ma anche potenzialmente pericolose?
Prendiamo in esame il caso dell’ acrilammide, una sostanza che si forma in seguito alle alte temperature e che si sviluppa durante i processi di frittura, di cottura al forno o alla griglia, come conseguenza di specifiche reazioni chimiche che coinvolgono gli zuccheri e gli amminoacidi.
Diversi studi hanno evidenziato che non solo l’acrilammide, ma anche il suo prodotto metabolico principale, ossia la glicidammide, possono avere carattere neurotossico, genotossico e cancerogeno, tanto da far classificare tale sostanza dallo IARC (International Agency for research on Cancer) come appartenente al gruppo A2, cioè “probabile cancerogeno”.
È importante sottolineare, inoltre, che l’ acrilammide rappresenta un rischio di natura chimica e come tale legato all’esposizione della sostanza; nei soggetti giovani e quindi soprattutto nei bambini, questa esposizione potrebbe prolungarsi nel tempo determinando un accumulo nell’organismo e pertanto può diventare un pericolo più ragguardevole.
Dove si nasconde l’ acrilammide?
Tra i principali prodotti alimentari coinvolti nel rischio di formazione di acrilammide, secondo il JECFA (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives), troviamo:
1. le patate fritte a bastoncino pronte al consumo;
2. le patatine fritte cips a base di patate;
3. il caffè;
4. i biscotti e pasticcini;
5. il pane bianco, panini e crostini.
Tutti prodotti insomma che tendiamo a consumare quotidianamente.
Lo Studio ABR ha deciso di focalizzare la propria attenzione sulla ricerca di acrilamide all’interno di patatine fritte confezionate a base di patate, vendute nella grande distribuzione… e le sorprese non sono mancate!
Sull’analisi di 6 campioni di patatine fritte a base di patate confezionate – scelte in maniera casuale, appartenenti ad aziende più e meno note, a marchio e non –ben 3 marche su 6 (cioè il 50% dei campioni), presentava concentrazioni superiori ai valori consigliati dalle Linee Guida europee dell’EFSA!
È possibile tutelarsi?
In base ai dati ottenuti dall’indagine, potremmo forse dedurre che l’attenzione del consumatore dovrebbe essere rivolta alla scelta di alimenti più costosi, per i quali l’azienda abbia investito in una maggiore attenzione durante le lavorazioni e lo svolgimento dei processi produttivi: infatti, tempi e temperature di cottura sono fattori essenziali per l’innesco della reazione. Va posta attenzione durante la frittura, ossia nella scelta dell’olio da utilizzare e nel controllo del punto di fumo, nel cambio frequente dell’olio utilizzato perché non si degradi, ecc… Una scelta non solo tecnologica, quindi, ma che diventa strategia di mercato nel momento in cui la coscienziosità lavorativa delle aziende, tutelando la salute del consumatore, induce gli stessi consumatori adeguatamente informati ad acquistare i prodotti migliori. Lavorare in sicurezza si può, come avvalorato dai risultati analitici (il 50% dei prodotti analizzati sono risultati con parametri conformi).
Sarebbe auspicabile un intervento più deciso da parte dell’UE con nuove indicazioni che non siano solo delle “linee guida”, ma che risultino anche giuridicamente vincolanti, quindi dei limiti oltre i quali le aziende vengano sanzionate.
Ci si augura che la Comunità Europea riesca a mantenga l’impegno per l’abbassamento dei valori indicativi per l’ acrilammide e che le nuove indicazioni abbiano la forza di responsabilizzare maggiormente le aziende nei confronti della salute pubblica.
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