Quasi sempre, è meglio cancellare, togliere, piuttosto che aggiungere. Da noi la sottrazione è vista spesso come negativa, ma nel pensiero orientale ha anche una valenza positiva, di rinascita. Nel Bardo Thodol, il Libro dei morti tibetano, la liberazione dal samsara è il completamento di quest’atto di sottrazione. Negarsi la reincarnazione e sottrarsi al ciclo karmico delle nascite e delle morti è la massima prova possibile, attraverso la quale un uomo completa la sua fuga dalla vita (dalle vite passate e da quelle in potenza future). Questa morale affronta il tema della morte partendo da una prospettiva radicale: nel momento in cui si riesce a dirimere la questione più annosa delle problematiche umane, si riesce anche a trovare un atteggiamento coerente e sincero in tutti gli ambiti della vita. “Quando un samurai è sempre pronto a morire, padroneggia la Via”, recita il secondo frammento dell’Hagakure.
C’è un’ampia letteratura orientale in merito, dal vuoto e il pieno nel taoismo fino alla dottrina delle arti marziali, dove per anni si studia come togliere ciò che si mette, si impara a dimenticare, si apprendono delle tecniche per non doverne praticare più neppure una.
L’estrema sottrazione fisica dal mondo dei fenomeni non appartiene alla cultura occidentale, tuttavia anche da noi si sono affermate correnti di pensiero che invitano a seguire un percorso di sottrazione da una determinata sfera della vita (il possesso di qualcosa, l’attuale modo di vivere…). Non si richiede di uccidere il corpo, ma la situazione.
La metafora della sottrazione in Occidente è stata impiegata pure nel mondo dell’arte, dalla letteratura alla scultura. Diceva Calvino, a volte bisognerebbe non mettere, ma togliere. Se puoi tagliare una parola, tagliala sempre, suggeriva George Orwell. E prima di loro, Flaubert: qualunque sia la cosa che si vuole dire, esiste solo un sostantivo per descriverla, un verbo per animarla e un aggettivo per qualificarla. Perfino la Pietà di Michelangelo, in fondo, viveva già in potenza nel blocco di marmo; a lui non restò che levare.
La cultura della sottrazione affascina anche il mondo del male. Il boss Salvatore Conte, carismatico e contraddittorio personaggio di “Gomorra” la Serie Tv tratta dal romanzo di Saviano, vive un contrasto enorme tra fede profonda e vita criminale. Seppure immerso nello sfarzo volgare dei potenti camorristi, tende a un ascetismo raffinato che spiega in questo modo: se non avrò più bisogno di niente, non mi potranno più piegare.
Però, occorre essere onesti, il peso o le parole in eccesso a volte sono diventati capolavori. Così come le sovrastrutture, l’inutilità assoluta di certi oggetti e le versioni eccessive ci fanno gioire da matti. Perché?
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