La morte di Dànilo Mainardi (rigorosamente con l’accento sulla prima sillaba) mi ha raggiunto in aeroporto, al rientro da una missione in Calabria. La prima reazione, però, non è stata né di sorpresa (pur non frequentandoci più ormai da tempo, sapevo che non stava bene e che era in quella fascia di età a rischio di “partenza non concordata”) né di grande dolore (non eravamo intimi), bensì una sorta di triste dolcezza. Quella generata dalla percezione di un vuoto lasciato dall’addio definitivo di un’importante personalità complessa e affascinante, che però ha vissuto sino in fondo il tempo che gli è stato concesso, lasciando una forte traccia che potrà essere seguita e portata avanti anche da altri. Una personalità dove si mescolavano la grande competenza professionale, il rigore scientifico e la consapevolezza mai ostentata di essere comunque un personaggio di un certo spessore nel panorama culturale e universitario italiano, assieme a un’intatta – e per certi aspetti ancora fanciullesca – passione per la Natura e per la Vita.
A Dànilo piacevano le cose belle, intelligenti e vitali (oltre ai suoi puzzolentissimi sigari toscani). Per questo amava gli animali, sia quelli selvatici e in particolare gli uccelli, sia quelli domestici come i colombi e i cani, tra cui Orso, l’amato Golden Retriever che aveva in quegli anni in cui ci frequentavamo e che ogni tanto, per rinfrescarsi, sfuggiva al suo padrone gettandosi nei canali di Venezia, dove Dànilo abitava con la sua cara Patrizia e dove ancora insegnava all’Università di Cà Foscari.
Mi parlava della sua passione giovanile di allevatore di colombi viaggiatori, sui quali aveva cominciato i primi studi di etologia, assieme ai topi in laboratorio presso l’Università di Parma, dove si era laureato in biologia e dove aveva intrapreso la sua lunga carriera universitaria di ricercatore e docente. E a Parma sarebbe poi tornato nella seconda metà degli anni ’90 come Presidente nella LIPU, succedendo al vulcanico Mario Pastore mancato improvvisamente, proprio mentre io ne diventavo il Direttore Generale.
Insieme abbiamo affrontato il rilancio dell’Associazione portandola, credo, ai massimi livelli della sua storia per numero di soci, di oasi e centri gestiti e di visibilità. Durante le lunghe e a volte un po’ noiose riunioni del Consiglio Direttivo, in cui spesso la discussione verteva su argomenti molto lontani dalla natura, Dànilo ascoltava con pazienza intervenendo solo con poche parole quando necessario, preferendo far parlare gli altri mentre, quasi automaticamente, disegnava i suoi famosi schizzi di animali. Schizzi dove riusciva con pochi tratti, e con uno stile tutto suo, a rappresentare in forme stilizzate la sostanza e l’essenza dei suoi soggetti. Inutile dire che tali disegni, a volte abbandonati sul tavolo alla fine di queste riunioni, erano ambitissimi e venivano rapidamente accaparrati dai vari consiglieri o dai membri dello staff presenti.
Fare il presidente di una grossa associazione ambientalista non è un lavoro semplice, né solo di facciata. Mainardi, che era nella LIPU sin dai primi anni dopo la sua nascita, portato dall’allora Segretario Francesco Mezzatesta, ci teneva molto a questo ruolo e lo viveva con molta partecipazione. I soci e gli attivisti lo adoravano, soprattutto per la semplicità e disponibilità con cui lui, personaggio famoso e anche molto popolare per i suoi libri e per le sue apparizioni televisive, parlava con tutti. Non era ancora l’epoca dei selfie (per fortuna), ma quando partecipava alle inaugurazioni pubbliche di una nuova oasi o alle liberazioni di rapaci veniva letteralmente assediato dalla gente e, a volte, gli amici e lo staff intervenivano per dare la possibilità anche a lui di starsene un attimo in santa pace a guardare con il binocolo gli uccelli da un capanno, come un birdwatcher qualsiasi.
Mainardi è stato forse il divulgatore naturalistico più noto nella storia del nostro Paese e il suo sodalizio con l’amico Piero Angela ha dato vita a una della collaborazioni più fruttuose della divulgazione scientifica italiana. Angela piemontese e lui lombardo, entrambi uomini di grande cultura, dal carattere piuttosto schivo e riservato: si intendevano a meraviglia. Nonostante vivesse ormai da decenni lontano dalla sua regione natale ed essendo anch’io suo conterraneo, ne avvertivo ancora la “lombardosità” di fondo che emergeva anche in un certo modo bonario con cui approcciava le persone, che peraltro riusciva a “pesare” in pochi minuti.
Oltre ai suo numerosissimi articoli scientifici e ai tanti libri di taglio naturalistico, vale la pena ricordare anche alcuni anomali libretti gialli-etologici (per esempio Un innocente vampiro, Il corno del rinoceronte o L’acchiappa colombi) che amava scrivere come delle specie di divertissement e dove emergevano le consuete arguzia e ironia.
Non entro nel suo immenso curriculum di studioso, che si può facilmente trovare nei numerosi articoli che in questi giorni lo ricordano sulle principali testate italiane, molte delle quali lo hanno visto collaborare.
Voglio invece concludere questo ricordo citando la sua appartenenza, come presidente onorario, alla UAAR-Unione degli atei e agnostici razionalisti. Come Margherita Hack ed altri famosi studiosi Dànilo si dichiarava non credente in un dio e in un Aldilà di cui non aveva un’evidenza provata, almeno secondo la sua esperienza e intelligenza. Odiava i dogmi e rimaneva molto perplesso sull’incapacità dell’Uomo, l’animale razionale per eccellenza, che ancora ai nostri tempi dominati dalla scienza e dalla tecnologia, continuava a credere in un’ampia varietà di fenomeni, esseri ed entità la cui esistenza non era appunto provata, a suo modo di vedere, da elementi convincenti. Eppure credo che la questione per lui rimanesse aperta, almeno in parte o a livello potenziale. Me lo suggerisce un episodio avvenuto, appunto, negli anni del nostro comune lavoro alla LIPU, durante un momento di pausa “informale”, quando ero andato a trovarlo a Venezia. Chiacchierando lungo i canali gli raccontavo alcune mie recenti esperienze di indagini spirituali che iniziavo a fare in quegli anni, soprattutto attraverso lo studio dell’antroposofia, una via di conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’Uomo allo spirituale che è nell’Universo e nella Natura.
I suoi occhi azzurri si illuminarono immediatamente dietro le spesse lenti degli occhiali e volle subito sapere cosa avevo scoperto, per poi spegnersi in un palese lampo di delusione mano a mano che gli raccontavo gli ancora scarsi elementi di cui disponevo. Era però evidente che gli sarebbe piaciuto moltissimo scoprire qualcosa di nuovo in quel campo, da parte di fonti che lui riteneva attendibili (e a quanto pare io ero una di quelle).
Per me rimangono questi e molti altri ricordi di una di quelle persone che è valsa davvero la pena conoscere, di cui posso solo parlare bene e di cui posso testimoniare l’impegno concreto a favore della Natura, degli uomini e di tutto il “piccolo popolo” di piante e animali a cui ha dato voce con i suoi scritti e apparizioni televisive, chiedendosi sempre con un certo disappunto “Quando capiremo, a fatti e non a parole, che le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi?’‘.