La libera concorrenza è un principio cardine dello sviluppo economico del mondo occidentale e negli ultimi decenni anche di molte altre aree del pianeta. Sì, le disuguaglianze esisteranno, diceva la teoria, ma i ‘vincitori’ potranno sempre risarcire i ‘perdenti’ e il libero commercio sarà una soluzione vantaggiosa per tutti. Questa conclusione, però, si sta rivelando sempre più sbagliata.
Pensiamo all’occupazione. In tempi di vacche grasse si pensava che i lavoratori potessero passare senza problemi da un posto di lavoro all’altro. Così che la manovalanza spostata dalla globalizzazione in aree povere sarebbe stata rapidamente ricollocata nei paesi ricchi da impieghi di più alto profilo. L’alta percentuale di disoccupati in Italia, in gran parte dell’Europa e anche negli Stati Uniti dimostra che ciò non è successo. Oggi milioni di persone vorrebbero trovare un impiego a tempo pieno, ma non ci riescono. In tanti hanno smesso di cercarlo. I posti di lavoro spostati nelle aree a basso costo di manodopera hanno creato lunghe fila di disoccupati. Punto.
Molte multinazionali, ma anche imprese medio-piccole, hanno tratto beneficio dalla delocalizzazione, non sono pochi i casi di aziende che hanno migliorato le loro performance grazie a questa scelta. Il benessere della gran parte dei cittadini, invece, ha subito un duro colpo. E questo porta a un’inevitabile conclusione: l’economia con effetto a cascata è una leggenda. L’arricchimento del management non aiuta necessariamente chi si trova a metà della piramide economica, e tanto meno quelli più in basso.
A dispetto delle vecchie teorie, i vincitori non hanno risarcito i perdenti. Anzi, hanno fatto il contrario, come dimostrano le crescenti disuguaglianze fra un ristretto numero di super ricchi e una massa di persone dal potere contrattuale sempre più indebolito. I sostenitori ad oltranza di questo sistema affermano che per far tornare competitiva la nostra economia si dovrà rendere ancora più flessibile il lavoro e tagliare la spesa pubblica. Sull’ultimo punto c’è un’ampia convergenza, sennonché i tagli finora hanno interessato più che altro i programmi a sostegno dei cittadini bisognosi. Dovremmo accettare di soffrire a breve termine, dicono ancora gli esperti, affinché sul lungo periodo ne traggano beneficio tutti. Ma come disse John Maynard Keynes (1883-1946), l’economista britannico che sostenne la necessità degli investimenti pubblici per stimolare la domanda in periodi di sotto-occupazione: “nel lungo periodo saremo tutti morti”.
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