“Scrivo da sempre lo stesso articolo, finché le cose non cambieranno continuerò imperterrito a scrivere le stesse cose”, così ripeteva Antonio Cederna (1921-1996), pilastro della cultura ambientalista italiana. Se Cederna fosse ancora tra noi continuerebbe a scrivere lo stesso articolo per denunciare l’inaudito consumo di territorio, l’allarmante perdita di biodiversità, l’inquinamento nelle aree urbane.
L’incapacità di governare le trasformazioni e di guidare lo sviluppo attraverso scelte di buon governo caratterizzano, oggi come ieri, la politica italiana, nazionale e locale. A parole molti paiono intenzionati a fare della sostenibilità la base per il futuro dell’Italia; nei fatti accade l’esatto contrario.
Aggirandosi per il Paese s’incontrano ovunque storie amare di speculazioni. Siamo tuttora bloccati a un modello dell’economia dominato dal cemento e totalmente disinteressato ai processi ecologici e all’impatto delle attività umane. Costruire, costruire, costruire. Questo resta l’imperativo.
Non c’è tregua, non c’è stata tregua neppure in questi anni di crisi. I giornaloni, quelli che fanno da grancassa alle imprese nazionali che divorano il territorio, ci hanno raccontato di un settore in ginocchio: l’industria delle costruzioni è in crisi profonda, gravissima, scrivono da anni. E allora come si spiegano i dati diffusi dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale? Il territorio in Italia continua a perdere naturalità senza sosta: contrariamente alle aspettative, la velocità con cui si consuma suolo non è rallentata, anzi continua a procedere al ritmo di 8 metri quadrati al secondo.
Venghino a Milano, siori e siore, venghino! Venite a vedere cosa è diventato quel triangolo di terra incastonato tra Milano e l’hinterland nord-ovest, il nuovo Eldorado nella geografia degli affari. Sull’area che ospiterà la grande kermesse di Expo 2015 si sono consumate gran parte delle lotte di potere degli ultimi anni. Una coalizione di interessi speculativi ha cancellato oltre mille ettari di terreni agricoli.
Ma è tutto il Paese ad avanzare (o regredire?) in tal senso. In barba alle dichiarazioni, i Pgt di tutti i comuni, salvo pochi casi virtuosi, prevedono un’espansione edilizia sovrabbondante rispetto a qualsiasi necessità pubblica e al buon senso. Conosciamo anche la causa: l’interesse delle amministrazioni pubbliche a incassare oneri di urbanizzazione collude, ahinoi!, con l’interesse dei costruttori a speculare sulle rendite di posizione.
In Italia ci sono due milioni e settecentomila case vuote,a cui vanno aggiunti capannoni, negozi e uffici inutilizzati. L’attuale situazione basta a coprire la domanda di abitazioni per molti decenni. Invece si continua a costruire. Finora a nulla o a poco sono valse le proteste e l’indignazione. Una poltiglia di manovre affaristiche continua a sprigionare miasmi di cemento e asfalto. E noi ne restiamo ammorbati.
Prendete un libro qualunque di Antonio Cederna, vi troverete scritto già tutto quanto. I temi che portò all’attenzione dell’opinione pubblica sono ancora lì, afflitti dall’ignavia e dal cinismo: lo scempio dei centri storici, la mancata pianificazione del paesaggio, l’assalto alle coste, la politica diventata oggetto di scambio clientelare.
Tra un libro e un articolo, prendetevi una pausa e ascoltate “Fabbricando case” di Rino Gaetano, un’altra voce fuori dal coro, irridente, che attraverso marameo musicali, a sua volta, aveva già detto tutto.
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