Il successo dell’olio di palma è dovuto essenzialmente a due fattori: in termine di resa per unità/superficie, questa è la coltura più efficiente. Inoltre, il sapore neutro e il costo contenuto ne fanno un ottimo ingrediente per l’industria alimentare.
Non volendo in questa sede entrate nel merito del dibattito circa la salubrità o meno di questo grasso vegetale, è innegabile, però, l’impatto ambientale che questa coltivazione esercita sugli ecosistemi. A causa delle palme da olio intere zone di foresta vergine sono state rase al suolo, un patrimonio ambientale perso per sempre, che non potrà mai più essere ripristinato.
Eppure, in favore delle coltivazioni di olio di palma, recentemente si è schierata Greenpeace. In una nota, l’associazione ambientalista ha fatto sapere che il boicottaggio dei prodotti contenenti il famigerato olio vegetale non è la soluzione.
«La coltivazione di olio di palma è un motore importante per l’economia dei paesi del Sud Est Asiatico – ha detto Greenpeace – e può essere prodotto in maniera responsabile, tutelando sia l’ambiente che i diritti dei lavoratori».
Qui entra in scena il ruolo fondamentale degli Enti certificatori. Ad oggi, sono due le organizzazioni internazionali che che lavorano per garantire la produzione responsabile dell’olio di palma: la Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile (Roundtable on Sustainable Palm Oil, RSPO) e il Palm Oil Innovations Group (POIG). La prima, a detta di Greenpeace, non può più essere ritenuta affidabile a causa dei suoi bassi standard. All’interno della RSPO ci sarebbero anche aziende non più in grado di garantire che nella propria filiera produttiva non si verifichino fenomeni di deforestazione o pratiche come l’incendio delle torbiere.
La POIG, invece, sarebbe l’ente certificatore a cui fare riferimento, dal momento che mira a spezzare il legame tra la produzione dell’olio di palma e la deforestazione, l’accaparramento delle terre (land grabbing) e la negazione dei diritti di lavoratori e comunità locali. A questa certificazione ha deciso di aderire di recente anche la Ferrero, azienda che Greenpeace ha definito: «Una delle aziende più all’avanguardia rispetto alla sostenibilità dell’olio di palma e che sta realizzando una politica molto ambiziosa in termini di sostenibilità ambientale».
Affinché questa coltivazione sia sostenibile anche per l’ambiente, Greenpeace sottolinea che è necessario adottare l’approccio “High Carbon Stock” (Elevato Stock di carbonio), che permette di individuare le aree dove è consigliato realizzare piantagioni di palma da olio, vale a dire terreni degradati, con basso valore naturalistico e di stoccaggio di carbonio.
Si eviterebbe, in questo modo, di convertire in piantagioni le foreste del Sud Est Asiatico, luoghi unici con un alto indice di biodiversità.
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