È stato, forse, il primo Stato a dotarsi di stringenti normative antinquinamento. Ma la ricca California scopre oggi di non vivere in un dorato isolamento, di non essere quel mitico “Golden state” adagiato sulle colline di Hollywood. Oggi non basta più essere virtuosi ambientalisti a casa propria se il resto del mondo è, dal punto di vista ambientale e umano, sfruttato intensivamente e senza regole.
È di qualche giorno fa il risultato delle analisi dell’aria fatte dagli studiosi della University of California: lo stato dell’Ovest degli Usa soffre di inquinamento importato dall’Asia.
Il 10% dell’inquinamento da ozono, il principale componente dello smog, nella regione agricola della San Joaquin Valley arriva, infatti, da altre parti del mondo, in particolare dall’Asia. Lo afferma lapalissianamente Ian Faloona, dell’University of California: “Quello che succede sopravento influisce sulle condizioni sottovento. Se paragoniamo la California a un corpo umano, l’area attorno al Golden Gate di San Francisco è come la bocca, che respira l’aria che arriva dall’Oceano Pacifico”.
Pensare “globale”
Lo smog “di seconda mano” che arriva dall’Asia e da altre regioni va, così, ad aggiungersi allo smog di una delle aree di per sé più inquinate della California. I residenti della San Joaquin Valley accusano i sintomi dell’asma in percentuale doppia rispetto alla popolazione di altre zone dello Stato. Lo scorso anno l’area in questione ha sforato per 99 giorni le regole federali per i massimi di presenza di ozono nell’aria. Così anche per le polveri sottili.
Secondo lo studio di Faloona, le autorità locali devono guardare più lontano rispetto alle fonti di inquinamento locali per cercare di migliorare la qualità dell’aria. “Stiamo cominciando gradualmente a comprendere che l’inquinamento agisce su una scala più grande rispetto a quanto siamo abituati a pensare”.
di Luca Serafini
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