Nel 1960 solo il 5% della popolazione mondiale di uccelli marini aveva ingerito pezzi di plastica. Oggi, invece, si calcola che il 90% di questi animali abbia nel proprio corpo tracce di questo materiale. E, secondo le stime del WWF, nel 2020 la già alta percentuale raggiungerà il 95% della popolazione globale di volatili marini.
Metà delle tartarughe, invece, ha nello stomaco sacchetti di plastica.
Questa condizione, molto di frequente, causa la morte degli animali. Quelli che sopravvivono, invece, subiscono una riduzione del volume dello stomaco, causata appunto dalla presenza di rifiuti impossibili da digerire ed espellere.
Ma non mancano i danni anche per la salute umana: molte delle tossine e delle sostanze chimiche contenute nella plastica sono assorbite nel tessuto dei pesci che finiscono sulla nostra tavola.
«Gli uccelli sono in cima nella scala dei predatori e danno un’indicazione molto buona della salute dell’ecosistema nei nostri oceani – ha spiegato la ricercatrice Denise Hardesty, dell’ente australiano Csiro che ha condotto la ricerca –. Una percentuale di plastica così alta nei loro corpi non può che essere indice di un ecosistema malato. Quello dell’inquinamento marino è un problema che sta attirando sempre maggiore attenzione globale, ma urgono azioni concrete e condivise».
E non potrebbe essere altrimenti, se si calcola che oltre il 70% dei rifiuti presenti in mare è composto proprio dalla plastica.
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