“Dai, lassal lì c’al sta pussee riparoo” (trad. “dai, lascialo lì che sta più riparato”).
La voce è di un monzese, il luogo lo storico rione di San Biagio. È una delle piccole fortune del ciclista totale: passare per vie, vicoli e piazze permette di cogliere voci e suoni, parole e frammenti di discorsi. Da sempre attento al mondo acustico, il sottoscritto non manca di registrare e di annotare brani della colonna sonora del quotidiano. La frase colta al volo di cui sopra incuriosirà sicuramente chi mastica non a sufficienza di parlate lombardofone. È l’antiquo vernacolo del monzesissimo quartiere di San Biagio, che trasforma il suono della a lunga del dialetto in un suono “o” – fenomeno che avviene anche in altre parti della Brianza –. E qui la fonetica, magica disciplina, aiuta, con le sue descrizioni e simbologie. Si tratta della cosiddetta vocale posteriore aperta, indicata nell’alfabeto fonetico internazionale come ɒ. La pronuncia corrisponde all’inglese not. E il suono è prodotto con la lingua posta in basso e collocata nella parte posteriore della bocca. Fin qui le notazioni tecniche. Per l’orecchio (il mio) divertente coglierne la comparsa – piccola e innocua ossessione – in un’area geografica piuttosto ampia ed esterna al Monzese. Troviamo questa vocale, esempio, nel tedesco svizzero, nel tedesco del Suditirolo, in Baviera e su fino all’Olanda, come varianti dialettali della “a” lunga. Per poi apparire anche nelle lingue nordiche, simboleggiata dal tipico å.
L’attrazione per il tema porta anche a riflessioni, di cui si fa non di rado catalizzatrice proprio la bicicletta. Un quesito arrovellava da un po’ chi scrive. Cosa caratterizza la parlata giovanile attuale, al di là degli ammorbanti “tipo”? Nella fattispecie, era proprio il desiderio di capire se ci fosse qualche notazione speciale nelle sonorità. Pensa e ripensa, e riproduci mentalmente frasi e parole colte qua e là. E una soluzione arriva. La teoria è più ozioso spunto che altro, e necessita, va da sé, di conferme o stroncature da parte di chi è addentro alle segrete cose. Banalizzazione delle vocali, ecco: nelle emissioni della gran parte tra adolescenti e affini, le vocali perdono la tipica varietà propria di noi lombardofoni classici. Prendiamo un vocabolo testé riportato, “tipica”. Le due “i” mica suonano uguali: la prima si pronuncia più allungata, la seconda è più breve. Per chi fa di “bella, zio” una sorta di manifesto e di bandiera le cose mutano radicalmente: le vocali si fan tutte inevitabilmente corte, in modo netto. Tutte uguali. Specchio – o effetto – della massificante globalizzazione? Agli esperti la risposta. Il vostro ciclista totale si limita a registrare come le vocali vengano rese tutte egualmente accorciate.
E le due ruote si fanno testimoni di indagini sui generis in una sorta di antropologia del quotidiano. Anche passando per San Biass a Monza, anzi San Bioss.
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