Quello che ci siamo appena lasciati alle spalle è stato un altro anno orribile per il paesaggio e per i beni culturali italiani. Nuovi crolli a Pompei, numerosi siti archeologici a rischio, frane e smottamenti a ripetizione in Liguria e Piemonte, Umbria e Lazio, Puglia e Basilicata, ovunque. La poderosa attività edilizia, spesso incontrollata, a volte malavitosa, che per decenni si è sovrapposta senza remore al paesaggio ereditato, non solo ha cancellato molte tracce del nostro passato, ma ora ci presenta un conto spaventoso. Gli abusi ambientali perpetrati sul suolo nazionale innescano molti dei dissesti idrogeologici che con sempre maggiore frequenza devastano le nostre città.
Sarebbe del tutto inutile fare l’elenco delle recenti “calamità”, sebbene prima o poi occorrerà scrivere la vera storia della cementificazione dell’Italia, indicando nomi e responsabilità: dalle leggi nazionali e regionali ai piani casa e ai piani regolatori comunali, dagli illeciti ai condoni, fino a quell’intreccio di interessi che in cinquant’anni ha mangiato cinque milioni di ettari di suolo agricolo.
Il governo Renzi perpetua gli stessi errori di un tempo, approvando lo Sblocca Italia di Maurizio Lupi, che è una legge fatta per portare a compimento il grande sacco dell’Italia; e ne compie di nuovi con la Riforma delle attività e di beni culturali targata Franceschini, di cui si attendono notizie.
Nell’Italia devastata del dopoguerra, dove tra le rovine ricominciava a vivere un popolo composto in gran parte di analfabeti, i membri dell’Assemblea costituente affidarono alla neonata Repubblica un compito immenso: la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Il celebre quanto ignorato articolo 9 della Costituzione comprende tutto: boschi e campagne, colline e spiagge, insieme a gallerie, musei e parchi archeologici. È il segno concreto del senso di responsabilità verso quello che era sentito come un patrimonio comune.
Oggi che ognuno saccheggia e privatizza quel che può, (secondo i dati diffusi da Coldiretti 480 metri quadrati al minuto di territorio vengono coperti ininterrottamente con asfalto e cemento, edifici e capannoni, servizi e strade con la conseguente perdita di aree naturali o agricole capaci di assorbire l’acqua in eccesso) al posto di “tutela” è subentrato il termine “valorizzazione”. Al ministero c’era una Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale capeggiata dal 2012 e fino a poche settimane fa da Annamaria Buzzi, sorella di Salvatore Buzzi, il direttore della Cooperativa 29 giugno arrestato per associazione mafiosa che agiva, secondo i pm, quale punto di raccordo tra il boss Massimo Carminati e la politica romana. Quel cognome scomodo è scomparso dall’organigramma del ministero alla vigilia di Natale, quando, senza ufficialità e comunicati stampa, come si conviene di solito in casi del genere, i nomi dei nuovi direttori prescelti dal ministro Franceschini sono comparsi direttamente sul sito web del Mibact.
La vicenda, non quelle della sostituzione di Anna Maria Buzzi ma del Putsch delle nomine, ha sollevato un vespaio di polemiche con l’inevitabile coda di ricorsi. Per molti si è trattato di un atto degno della peggiore Prima Repubblica. Di certo è stato un pessimo modo di partire con la riforma. Intanto, mentre l’attenzione del ministro è concentrata sul giro di valzer dei dirigenti, nei musei manca il personale, dilagano i casi di sciatteria e mala gestione e quasi la metà dei siti archeologici del Sud è in stato di abbandono.
Qualcuno ha scritto che la vicenda dei nostri beni paesistici e culturali è il vero romanzo criminale italiano. C’è l’aggravante che in questo settore si continuano a compiere infamie.
Potrebbe interessarti anche: Al diavolo la bellezza , Una crisi sprecata ? , L’agonia di Pompei
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com