Prendiamocela pure con questo tempo maledetto. Malediciamo l’alta pressione e le temperature eccessivamente miti. Scarichiamo la nostra ira verso il cielo. Ma i mali che ci affliggono non sono altro che i nostri frutti malati.
A Milano l’aria è avvelenata da noi stessi. E non da queste settimane, da decenni. Lo scorso marzo abbiamo pubblicato un articolo intitolato Nell’anno di Expo Milano è già fuorilegge. Dopo i primi due mesi del 2015 Milano aveva già esaurito il bonus dei 35 giorni l’anno consentiti dall’Unione europea per sforare la soglia del Pm10 nell’aria, le polveri sottili.
Poi è arrivata la sbornia dell’Esposizione Universale e Milano è diventata la città modello. Ciò che non hanno saputo fare Eolo e Diche, è stato reso possibile dall’isteria collettiva che con un colpo di mano ha allontanato lo smog e il malcostume.
Ora che sui padiglioni è stato steso un velo di oblio, ci si ricorda che a Milano l’inquinamento atmosferico uccide. Si è tornati ai livelli di inquinamento critici del 2006 e del 2013, anche peggio. Le parole rassicuranti pronunciate la scorsa primavera dall’assessore all’Ambiente di Palazzo Marino, Pierfrancesco Maran – «l’aria che respiriamo oggi prosegue è migliore di cinque anni fa» – si rivelano per quello che sono.
Il traffico in città durante questi giorni assomiglia a quello degli sfavillanti anni Ottanta, quando cinici ed edonisti correvamo verso il baratro del pianeta. Ora si pensa alle consuete soluzioni inutili – blocco delle auto per un giorno e altre bagattelle – e soprattutto si confida in modo primordiale nella pioggia e nel vento. A proposito, quando un refolo d’aria spazzerà le strade, cercate fra le foglie secche la Carta di Milano.
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