È la filosofia che si sta diffondendo negli Stati Uniti con l’intenzione di ridurre la quantità di rifiuti tessili che ogni anno intasano le discariche della federazione, arrivando a occupare, secondo le statistiche dell’U.S. Environmental Protection Agency (EPA), il 5% di tutti i rifiuti solidi urbani generati nel Paese.
EPA stima che il riciclaggio tessile riguardi attualmente circa 1.600 tonnellate di rifiuti l’anno, pari solamente al 15%, lasciando l’85% di rifiuti tessili nelle discariche.
Secondo Mattias Wallender CEO di USAgain, società di riciclaggio di Denver, la popolazione americana compra abbigliamento in quantità cinque volte maggiore rispetto a quanto faceva nel 1980. E tra il 1999 e il 2009 si è registrato un aumento del 40% nel volume di rifiuti tessili.
“A causa delle produzioni super economiche, i vestiti cadono sempre più velocemente a pezzi e vengono gettati con un ritmo più serrato di un tempo” avverte Heather Rogers, autrice del libro Green Gone Wrong: Come la nostra economia sta minando la rivoluzione ambientale.
Riciclare è il nuovo trend
Raggiungere rifiuti zero entro il 2037 è l’obbiettivo dell’organizzazione no profit Council for Textile Recycling, oltre che dall’intera nazione.
È sempre più in crescita il numero di stati che stanno implementando programmi di riciclaggio post-consumo per favorire la popolazione americana a donare, anziché gettare nella spazzatura, vestiti, scarpe, lenzuola, asciugamani, cinture o altri materiali tessili. Tra questi, New York, New Jersey, Connecticut, Arizona, Massachusetts, Pennsylvania, Washington e Maryland.
Abbracciano la causa anche linee di abbigliamento
The North Face ha raggiunto l’obiettivo di offrire il proprio programma di riciclaggio “Clothes The Loop” in tutti i suoi 83 negozi e outlet degli Stati Uniti, aprendo così le porte a tutti coloro che vogliono donare abbigliamento e calzature di qualsiasi marca, purché in buone condizioni.
The North Face stima che riciclando 300 milioni di magliette si eviterebbe l’utilizzo di 8 milioni di ettolitri d’acqua e l’immissione nell’atmosfera di 453 tonnellate di CO2.
L’azienda leader d’abbigliamento sportivo non è sola. Altri nomi a offrire programmi di riciclaggio tessile sono Patagonia, Levis, GAP, Eileen Fisher e H&M.
“Tutto ciò che è pulito e asciutto può essere riutilizzato o riciclato” afferma Jackie King, direttrice esecutiva del gruppo industriale Secondary Materials and Recycled Textiles Association.
Inquinamento e tendenze future
“Non ci sono molti studi sull’impatto che l’abbigliamento ha sul cambiamento climatico, ma una statistica che spicca è che l’industria tessile è responsabile per il 10% dell’emissione globale di CO2” dice Wallender.
Gli Stati Uniti stanno considerando altre misure da utilizzare per far sì che l’industria tessile diventi più ECOsostenibile.
Secondo Susan MacDonald della CottonConnect’s, entro il 2025 il cotone sostenibile non sarà più un’opzione, ma rappresenterà la maggior parte del mercato d’abbigliamento: cotone e poliestere, infatti, le due fibre al momento più utilizzate dall’industria tessile, necessitano per la propria produzione quantità abbondanti di risorse già a rischio come acqua, olio e gas.
Ci vogliono circa 2.650 litri d’acqua per fare crescere il cotone e produrre una maglietta. Il cotone tradizionale è uno dei raccolti che necessita di più acqua e pesticidi. Secondo la Banca Mondiale, il 17-20% d’inquinamento delle acque industriali è dovuto alla tintura e trattamento tessile.
“La popolazione crescente e le abitudini di consumo non saranno più sostenibili al ritmo presente. Avremo bisogno di trovare il modo per migliore l’uso delle materie prime, acqua e terre coltivabili” dice Erin Smith, visiting artist al Dipartimento delle Ricerche di Microsoft.
Per la futura produzione tessile si comincia a considerare l’utilizzo di materiali sostenibili come bambù, lino, canapa, sisal e addirittura ortiche, al fine di consumare meno risorse e ridurre il livello di inquinamento.
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