Twitching. Il vocabolo, ebbene sì, stona in modo netto con l’idiosincrasia dello scrivente per qualsivoglia forestierismo.
Niente conati di patriottismo, ci mancherebbe: patria è concetto, nel mio sentire, della sfera intima e prettamente personale. Semplicemente, l’avversione per pigrizia intellettuale e massificazione culturale che sottendono all’uso smodato di parole provenienti da oltre confine.
Il termine sopra citato – twitching – può rendersi con una sorta di neologismo, “crocettismo”. Indica il cercare di osservare un uccello raro segnalato da qualche parte. Generalmente raro, va spiegato, non in sé, ma perché tipico di altre parti del Pianeta. È passione che in paesi come il Regno Unito o gli USA – dove l’osservazione degli uccelli, il birdwatching, è sport nazionale – può sfociare nel più indemoniato fanatismo, con andate e ritorni, anche nel giro delle 24 ore, da una parte all’altra di un continente. In Italia, tocca una popolazione meno vasta ma, spesso, non meno pervasa dal sacro fuoco. Anche lo scrivente non manca e non ha mancato di dedicarsi al crocettismo – l’improbabile neologismo fa riferimento diretto alla crocetta che si può finalmente apporre su una mica tanto metaforica lista di uccelli, a twitching concluso.
Il dicembre 2015 porta su in Engadina un soggetto degno di febbre da twitcher. Una strolaga del Pacifico – uccello acquatico, il cui nome denota già una provenienza esotica – viene segnalata su al Lago di Silvaplana. Pellegrinaggi raggiungono lo specchio d’acqua, da varie parti d’Europa.
Anche sulle due ruote di una bici si può. 25 dicembre 2015. Arrivato in treno a Chiavenna, scalo la salita fino al Passo del Maloja. Il velocipede non sarebbe dei più adatti per un dislivello di 1500 metri circa: classica, e pesante, bici da strada. Il tutto con sulle spalle zaino con attrezzatura del caso: binocolo, cannocchiale, macchina fotografica.
In realtà, la salita è meno dura di quanto ci si potrebbe immaginare. Il tutto, immersi nei magnifici scenari della Bregaglia.
“Was suchst du?”, domanda un locale. Non è l’unico interessato alla mia presenza. Percorro la sponda del Lago. “Mio padre è ornitologo”, mi racconta un giovane, spiegandomi delle osservazioni dei giorni precedenti. La strolaga non appare all’orizzonte: essere da soli in questi casi aiuta poco. Mentre viene spontanea qualche annotazione da bassa etnologia, disemm, sull’atteggiamento della gente del posto verso binocolo e cannocchiale. Il confronto con quanto accade in media da noi meriterebbe (futuri) approfondimenti. Una signora, munita di un piccolo binocolo (roba improponibile per un twitching), mi spiega che ne han parlato “in der Zeitung”, “sul giornale”. Simpatico e gradevole accento svizzero, mi racconta che l’ha vista per tutta la mattina. Brividi da sbinocolatore. L’ha anche fotografata, malnata d’una grischuna. L’istantanea si rivela però banale svasso.
Tempo di rientrare. La discesa del Maloja: meglio affrontarla con una bava di luce, e prevenendo eventuale ghiaccio sull’asfalto. Niente strolaga, niente twitching per stavolta. Vita da naturalista. Vita da ciclista totale.
Postilla 1. La strolaga è stata poi rinvenuta morta il giorno dopo. Molto probabilmente aveva difficoltà a trovare cibo. È stata recuperata e portata ad un centro di ricerca.
Postilla 2. In rete trovate notizie sulla salita al Maloja in bici. Non è dura. Forse, però, il periodo invernale non è dei migliori per la possibile presenza di ghiaccio.
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